えいがきょう :: Eigakyou
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Overview

  • Titolo originale: 英雄 (Ying xiong)
  • Titolo alternativo: Hero
  • Anno: 2002
  • Genere: action, adventure, history, drama
  • Regista: Yimou Zhang
  • Cast: Jet Li, tony Leung Chiu Wai, Maggie Cheung, Ziyi Zhang, Daoming Chen, Donnie Yen
  • Paese di produzione: Hong Kong, Cina
  • Set: Cina
  • Lingua: Cinese
  • Durata: 99 min (107 min extended version)
  • Link: IMDb

Trama

Nell'antica Cina sconvolta dalla guerra per il potere, il prefetto di una piccola giurisdizione viene convocato da Qin Shi Huang, colui che sarà il primo imperatore della Cina unificata. Il prefetto Senzanome (interpretato da Jet Li) si è reso partecipe di una impresa che lo porta fino al cospetto di Qin Shi Huang: debellare la minaccia alla vita del futuro imperatore.
L'eco delle sue gesta ha spinto l'imperatore stesso a concedere un'udienza privata al prefetto nelle stanze private dove solo selezionatissimi servitori possono accedere.

Trailer


Recensione

(Attenzione, questa sezione contiene spoiler)
Ambientazioni stupende e musiche prettamente orientali scandiscono una narrazione fatta di ricordi e di parole. Tutto nel film serve a contribuire al racconto, dalla foglia rossa che cade dall'albero durante il combattimento di Neve che vola al movimento delle candele nelle stanze regali dell'imperatore. Il ritmo del film non è scandito dai combattimenti ma dalle parole, sono le parole che scandiscono il tempo dell'azione, il tempo della spada che vibra; anzi, gli oggetti stessi diventano parole, parlano attraverso i suoni e le vibrazioni, comunicando le emozioni e il pensiero dei personaggi. Visto da uno spettatore occidentale, abituato a ben altri generi, potrebbe apparire noioso e senza una vera trama; qualcuno potrebbe anche sorridere davanti ai combattimenti talvolta estremamente appariscenti e pretenziosi, ma si tratta semplicemente di una figurazione utilizzata per rappresentare non tanto la forza fisica, a cui oramai siamo assuefatti dalla filmografia occidentale, quanto la forza interiore dei protagonisti. Un film da non vedere con i soli occhi ma con tutti i sensi.

Tematiche

La tematica di Ying xiong è una: sotto un unico cielo.
La storia non è articolata attorno a Senzanome, il protagonista del film, ma attorno ad un ideale, una filosofia di vita che porta alla unificazione della Cina sotto un unico governo centrale. I personaggi del film altro non sono che l'incarnazione di una serie di differenti tradizioni che spesso si scontrano, anche violentemente; Spada spezzata, Neve che vola e Cielo altro non sono che rappresentazioni di ideali, di una volontà di contrastare la creazione di un potere centralizzato (e totalitario) che avrebbe cancellato le numerore e variopinte culture della vasta Cina. L'imperatore Qin è invece la rappresentazione dell'ideale primo di unificazione, anzi dell'ardente desiderio di unificare ad ogni costo la Cina. Il tentativo di regista e autore è quello di portare una nuova immagine in movimento, sotto vari punti di vista, di un evento storico che ha sconvolto la Cina; porta l'immagine diversa di un'imperatore che nella storia è stato etichettato come un dittatore, un'uomo schiavo delle superstizioni e delle sue paure nonchè fobie.

Considerazioni finali

Un film che si avvicina tanto alla storiografia classica quanto alla rivisitazione storica di personaggi e avvenimenti, mescolando nella giusta misura le tradizioni tipiche del cinema Cinese. Una ottima regia che regala emozioni, cosa molto complessa in un film carico di azione, attraverso l'uso sapiente della fotografia e della musica, difficilmente disattende le aspettative. Ying xiong è un film certamente ricco di combattimenti - nel classico stile di Hong Kong - che però vuole provare, con un buon grado di successo, ad emozionare lo spettatore senza il semplice uso di scene adrenaliniche; riesce in questo intento sfondando quel muro che da sempre divide il cinema orientale dall'occidente, cioè la facilità con cui il pubblico Americano ed Europeo bolla il cinema Asiatico come noioso ed incomprensibile.

Multimedia

Ying xiong

 


Overview

  • Titolo originale: リンダ リンダ リンダ (Rinda Rinda Rinda)
  • Titolo alternativo: Linda Linda Linda
  • Anno: 2005
  • Genere: Comedy, Drama, Music
  • Regista: Nobuhiro Yamashita
  • Cast:Du-na Bae, Aki Maeda, Yu Kashii, Shiori Sekine, Takayo Mimura, Shione Yukawa, Yuko Yamazaki, Masahiro Komoto
  • Paese di produzione: Giappone
  • Set: Giappone
  • Lingua: Giapponese
  • Sottotitoli: AsianWorld
  • Durata: 114 min
  • Link: IMDb
  • English Review: Midnight Eye

Trama

Accettare una sfida è molto semplice, vincerla risulta il più delle volte molto difficile; richiede impegno, costanza e sacrificio, ma per quattro ragazze di una scuola superiore giapponese questo non sembra rappresentare un problema. Con la tipica spensieratezza giovanile accettano di esibirsi come gruppo musicale al festival della scuola nonostante l'infortunio della loro compagna le costringa a rimescolare le carte in tavola. Nuovi pezzi musicali, un cambio di strumento e una nuova frontgirl e voce a poche settimane dal festival. La nuova formazione affronterà assieme i problemi quotidiani, le sfide che la vita mette davanti; i primi amori, l'amicizia e le difficoltà su uno sfondo-fotografia di libertà, accompagnato da musica senza tempo.

Trailer

Recensione

Alcuni potrebbero farsi trarre in inganno dal genere Music Comedy, altri potrebbero bollare il film come pellicola per giovani ed evitarlo preferendo una più adatta pellicola adulta - il nero è volutamente scherzoso. Commetterebbero un grosso errore.
Linda Linda Linda esaudisce le aspettative. Una commedia divertentissima, un ottimo faro sulla vita scolastica giapponese e una trama piacevole, attraente, semplice quanto basta.
Linda Linda Linda sa andare anche oltre le aspettative. Una regia stilisticamente perfetta con ottime inquadrature dinamiche; ad esempio la parte iniziale che vede protagonista Kyoko Yamada (interpretata da Aki Maeda) lungo il corridoio della scuola o il bellissimo inseguimento di Son (interpretata da Du-na Bae) per tutto l'edificio con un'attesa finale della protagonista sul palco a donare teatralità alla ripresa. Inquadrature fisse degne di un film di Shunji Iwai; precise, ampie, adatte a cogliere ogni singolo particolare, ogni espressione delle protagoniste.
Una regia perfetta che esalta la bravura delle protagoniste, diverse tra loro sia nel film che nella loro esperienza cinematografica. Du-na Bae arriva da una eccellente esperienza sotto la regia di Chan-wook Park nel film Sympathy for Mr. Vengeance. Aki Maeda è la protagonista del controverso Battle Royale di Kinji Fukasaku, la ragazza #15 Noriko per gli appassionati. Yu Kashii non passerà sicuramente inosservata agli occhi degli appassionati di dorama, la professoressa di Sakaki Makio in My Boss My Hero non si dimentica. Non manca la debuttante, Shiori Sekine, al suo primo ruolo cinematografico, un po sotto-tono nel complesso. La loro diversità viene esaltata progressivamente dal regista, la timidezza di Kyoko in fatto di amore, la forza vitale di Kei fino alla bellissima personalità di Son. Una Son magnificamente interpretata con grande espressività, capace di catturare la scena e strappare più di un sorriso.

(Attenzione, questa sezione contiene spoiler)
E' proprio Son che si rende partecipe delle scene più belle del film, a partire dal karaoke stonato preceduto da una improbabile discussione con il proprietario del locale, oltremodo divertente, oppure la caduta - molto bella l'inquadratura - sotto la pioggia battente. Du-na Bae fornisce una prova molto convincente.
Il finale è forse prevedibile e scontato ma è esattamente ciò che serviva al film, un arrivo di corsa all'ultimo momento, preso in prestito forse da Swing Girls - grande successo di pubblico di un anno prima - con la tensione del momento stampata sul viso di Son.

Tematiche

(Attenzione, questa sezione contiene spoiler)
Chi non ha mai sognato - o realizzato - di suonare in un gruppo, di esibirsi davanti ad una platea urlante? Tutti, ascoltando la propria musica preferita, ci siamo trovati a fantasticare. Chi ha avuto la fortuna di coronare i propri sogni troverà, con molta probabilità, in Linda Linda Linda un modo per rievocare i primi momenti. Una storia di Amicizia - con la A maiuscola - tra quattro ragazze tanto diverse quanto unite, l'antitesi di All about Lily Chou-Chou, un quadro positivo e maturo della vita scolastica giapponese odierna.
Tutta la narrazione è immersa in una colonna sonora talmente perfetta da rimanere incollata nella mente, impossibile non trovarsi a ripetere almeno una volta il motivetto "Linda Lindaaa, Linda Linda Lindaaaaaa!" - la storpiatura è d'obbligo. La musica è un tema centrale per tutto il film. Unisce sottovoce al chiaro di una piccola luce in un'aula scolastica nel pieno della notte, accompagna le ragazze nei momenti felici e nella vita quotidiana, ed esplode nel finale quando le protagoniste si esibiscono davanti ad un pubblico urlante, fradice di pioggia. La scelta di un vecchio gruppo e di un vecchio album studio mal registrato, lontano forse dall'odierna scena musicale giapponese, è oltremodo azzeccata, serviva propria una canzone senza fine (cit.)

let's sing an endless song
for me for you and for them

let's sing an endless song

so we can laugh tomorrow

La scuola giapponese ne esce con un quadro positivo, nonostante sia spesso presa di mira dallo stesso cinema di casa; ne vengono esaltati i punti positivi, in particolar modo l'organizzazione pressoché perfetta e l'enorme importanza che riveste nelle vite dei giovani giapponesi.

Considerazioni finali

Se dopo la visione non riuscite a togliervi di testa la colonna sonora procuratevi l'album omonimo The Blue Hearts del 1987, primo e bellissimo album di una band vissuta ad occidente nell'ombra di gruppi come Ramones e Sex Pistols, scoperta in ritardo, grazie a questo film, dal sottoscritto - che ha realizzato questa recensione ascoltando proprio The Blue Hearts.
Voglio concludere con una considerazione. Questo Linda Linda Linda mi ha riportato ai momenti in cui mi avvicinavo per la prima volta al cinema asiatico, in special modo al primo film, My Sassy Girl, un film di rara perfezione nel suo genere; Nobuhiro Yamashita offre le stesse sensazioni di quei primi momenti. Una commedia musicale oltremodo divertente e coinvolgente, una piacevole scoperta da guardare e riguardare al pari della pellicola di Kwak, che nasconde alla fine della visione una sensazione che si colloca nel mezzo tra libertà, spensieratezza e gioia. In una sola parola coinvolgente.

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Linda Linda Linda

 


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  • Titolo originale: 나쁜 남자 (Nabbeun namja)
  • Titolo alternativo: Bad Guy
  • Anno: 2001
  • Genere: drama
  • Regista: Ki-duk Kim
  • Cast:Jae-hyeon Jo, Won Seo, Yun-tae Kim, Duek-mun Choi, Yoon-young Choi, Yoo-jin Shin, Jung-young Kim
  • Paese di produzione: Corea del Sud
  • Set: Corea del Sud
  • Lingua: Coreano
  • Sottotitoli: AsianWorld
  • Durata: 100 min
  • Link: IMDb

Trama

Han-ki rapito dagli occhi di Sun-hwa, una bella ragazza in attesa del suo fidanzato, non esita a strapparle un bacio, non accetta un rifiuto nemmeno se le conseguenze possono far male; viene picchiato, offeso, deriso dalla folla ed infine macchiato da uno sputo, un indelebile macchia sul suo volto. Quest'ultimo gesto è l'unico a ferirlo realmente, una ferita tanto profonda che dovrà essere ricucita con lo stesso odio; rapita, obbligata a prostituirsi, osservata, così Han-ki otterrà da Sun-hwa ciò che ha sempre voluto.

Trailer


Recensione

T'adoro al pari della volta notturna,
o vaso di tristezza,
o grande taciturna! E tanto più t'amo quanto più mi fuggi,
o bella, e sembri, ornamento delle mie notti,
ironicamente accumulare la distanza
che separa le mie braccia dalle azzurrità infinite. Mi porto all'attacco, m'arrampico all'assalto
come fa una fila di vermi presso un cadavere e amo,
fiera implacabile e cruda,
sino la freddezza che ti fa più bella ai miei occhi.
(Charles Baudelaire - Ti adoro)

(Attenzione, questa sezione contiene spoiler)
Solo un poeta maledetto come Baudelaire può descrivere con tanta cruda realtà un amore malato come quello messo su pellicola dal regista Ki-duk Kim, maestro indiscusso del genere drammatico che con Bad Guy racconta un amore deviato, becero e fuori da ogni canone. La vittima, costretta a prostituirsi negli Slum della capitale Coreana Seoul (서울특별시), per pagare un finto debito, finisce per amare il suo carnefice; Sun-hwa (interpretata da Won Seo) dopo essere stata violentata e segregata come una bestia finisce per vedere in Han-ki (interpretato da Jae-hyeon Jo) una protezione, una iniziale necessità di protezione che si trasforma via via in ammirazione, affetto ed infine amore per colui che, da dietro un finto specchio, la osserva con sguardo spento - mentre viene via via privata della vita. Non certo una normale storia d'amore, ma piuttosto un amore malato e confuso.
Kim Ki-duk ha scelto per questo film due finali, due storie alternative. Da una parte l'amore è coronato dalla morte, una fine tragica scritta nelle immagini di una fotografia che racconta il futuro; dall'altra si fa strada un amore deviato dove il prostituirsi della giovane Sun-hwa diventa un mezzo d'unione, l'unico modo che permette ad Han-ki - impotente - di avere un rapporto sessuale con la ragazza. Due finali che coesistono - nessuno dei due è del tutto reale o del tutto immaginario - rendendo questo film allo stesso tempo vicino e lontano dai drammi classici del cinema moderno.

Tematiche

(Attenzione, questa sezione contiene spoiler)
Kim Ki-duk mette in scena un film controverso - dove la vittima finisce per amare il suo carnefice - allo stesso modo dell'Herman Melville - l'autore di Moby Dick - di Billy Budd (discusso romanzo del 1891), citato come una delle più grandi menzogne letterarie da Vizinczey Stephen. Estendendo la definizione potremo parlare di menzogna cinematografica o sociale, quella che per Freud è una deviazione della psiche diventa per Kim Ki-duk semplicemente amore, vero e estremo quanto la morte - almeno per uno dei due finali alternativi. La storia è raccontata dal regista in modo così magistrale da convincere, tanto che i minuti finali non sconvolgono come dovrebbero; leggere la stessa storia nelle pagine di cronaca di un giornale avrebbe spinto ognuno di noi ad una ferma condanna del carnefice, ma alla fine del film si è titubanti nel farlo.

Considerazioni finali

Ho visto Bad Guy dopo altri film del regista, una scelta che reputo azzeccata, si riesce a comprenderlo maggiormente avendo a disposizione una fotografia più completa del regista. Crudo quanto Address Unknown e simbolico come Samaritan Girl è forse l'espressione più alta del cinema di Kim Ki-duk alla pari con il suo capolavoro 3-Iron. Accosterei a questo film Oasis del regista Chang-dong Lee, molto diverso da Bad Guy ma a suo modo capace di completarlo; in Oasis fanno la loro comparsa le condanne della società - non sempre veritiere, ed assenti in Bad Guy.
Da citare la presenza di una voce italiana femminile nella colonna sonora del film, è infatti stato scelto il brano I tuoi fiori di Etta Scollo come musica per i momenti più toccanti del film.

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Nabbeun namja

 



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  • Titolo originale: Electric Dragon 80.000 V (えれくとりっくどらごんはちまんぼると)
  • Anno: 2001
  • Genere: Science Fiction, Cyberpunk
  • Regista: Sogo Ishii
  • Cast: Tadanobu Asano, Masakatsu Funaki, Masatoshi Nagase
  • Paese di produzione: Giappone
  • Set: Giappone
  • Lingua: Giapponese
  • Sottotitoli: Asian World
  • Durata: 55 min
  • Link: IMDb
  • Suggested reviews: Mandi Apple - an interesting retrospective with well thought and researched analysis

Trama

Nella città di Tokyo vivono due individui singolari: ragazzi mutanti che rilasciano scariche elettriche, ciascuno dei quali vive uno shock post-traumatico, seppur per circostanze diverse. Abbiamo un ragazzino violento che stende con un colpo ben assestato in volto i bulli che gli si presentano di fronte, spesso e volentieri più grossi di lui. Come fare quindi a risolvere la situazione? Semplice: pesanti scariche elettriche direttamente nella testa del povero bimbo. L'andamento anaforico degli elettroshock scandisce la vita del piccolo, in un continuo déjà vu che culmina con la fatidica scarica ad altissimo voltaggio, che lo trasformerà per sempre. Minna-san, vi presento Dragon Eye Morrison. Il compito di interpretare il ruolo del dragone elettrico è affidato all'eclettico Asano Tadanobu (Zatôichi, Vital, Ichi The Killer), carismatico attore giapponese astro ormai consacrato nel panorama del cinema del Sol Levante, sia indipendente che mainstream. Il secondo antieroe, suo avversario, è Thunderbolt Buddha (Masatoshi Nagase), fritto in tenera età da un fulmine mentre scalava un pilone della luce. Thunderbolt è letteralmente diviso in due, la parte destra è incastonata nel ferro e funge da conduttore elettrico per tutto il corpo. Ovviamente Tokyo non è abbastanza grande per entrambi, quindi uno deve andarsene.

Trailer



Recensione

(Attenzione, questa sezione contiene spoiler)

Sembra una trama idiota? Pare di leggere un manga, un fumetto di Science Fiction? Bene, è proprio questo l'obiettivo. Il film non cerca di dare risalto alla trama, non ha la pretesa di fornire falsi spunti di riflessione fingendo una profondità nascosta e incompresa, la deride volontariamente. Certo, si potrebbero dare interpretazioni a livello simbolico di quasi tutte le scene, dalla scelta delle inquadrature a quella della musica, e derivarne tematiche di tipo esistenziale. È possibile farlo, certo, ma non è questo il punto. Per capire Electric Dragon 80.000 V è necessario cercare di immedesimarsi nelle menti dei suoi folli creatori, a cominciare dal regista Sogo Ishii. Siamo nell'anno 2000, il genere cyberpunk sta vivendo una crisi di identità a causa delle grandi trasformazioni della società. Ciò che 20 anni prima era cyberpunk, la fusione di elementi tecnologici e cybervisuali con la vita delle persone, sia artisticamente che fisicamente, è diventata parte della quotidianità. Ciò che prima era fantascienza ora è normale amministrazione. A parte rari casi non direttamente identificati con tale movimento culturale (The Matrix), e la scia di capolavori passati, il pubblico fa davvero fatica a ritrovare un'opera underground degna si essere il successore dei lavori di Tsukamoto. Dieci anni dopo Tetsuo Ishii si trova di fronte a questa sfida, e ad aiutarlo è Tadanobu.

La prima parte del film è dedicata alla caratterizzazione dei protagonisti. Dragon Eye Morrison ha una connessione particolare con i rettili, come rivelano chiaramente nelle prima scene, in cui le antiche rappresentazioni iconografiche di dragoni volanti accompagnano i titoli di coda e scandiscono il ritmo del grande momento: il dragone dentro di lui è pronto a scatenare la sua furia. Le scariche elettriche al cervello sono il veicolo per il risveglio del rettile gigante dentro l'animo del ragazzo. Morrison passa il suo tempo lavorando come investigatore privato ritrova-iguane e scaricando figurativamente elettricità tramite la sua fedele chitarra (o meglio: GUITAR!!!), quasi un'estensione naturale del suo corpo. Thunderbolt Buddha è, guarda guarda, un elettricista e feticista delle armi che utilizzano l'elettricità come forza propulsiva. Si diletta anche ad ascoltare le conversazioni dei passanti captando i segnali nell'etere. I due sono personaggi mitici della storia giapponese inseriti in un panorama postmoderno, e si ritrovano a doversi affrontare in una lotta all'ultima Volt.

Tematiche

L'idea è di creare un'opera grezza, divertente e deridente in perfetto stile manga, basti pensare ai nomi dei personaggi o agli esilaranti titoli di intermezzo (pennello di Asano!) annunciati da uno speaker urlante e delirante. Graffiante nella sua follia visuale, il film è supportato da una colonna sonora convulsiva, scritta e suonata da Ishii e Tadanobu stessi, che per l'occasione hanno formato una band punk industrial, i MACH 1.67. Il noise elettrico dei suoni trova una perfetta simbiosi all'interno del racconto, talvolta quasi oscurando l'arte visiva, seppure bellissima nel suo cyberpunkish-trash. Il film ha senza dubbio una delle colonne sonore più spaccatimpani di sempre, chitarre doloranti, voci distorte, sassofoni strozzati, rumori di scariche elettriche e ritmi infernali scandiscono ogni scena e ne determinano il mood. La musica è molto più che una parte del film, essa lo definisce e coagula tutto in un calderone di Volt spezzaorecchie e strappaocchi, iniettandocelo con violenza direttamente nella spina dorsale.

Il leitmotif della pellicola è il divertimento; si divertono tutti come pazzi. Il regista Ishii sperimenta, senza il timore di seguire precisi stilemi e di dover rispondere alle aspettative del pubblico, se ne sbatte altamente di quello che la critica potrebbe dire di lui. Con un film low-budget concepito e realizzato per la scena underground può permettersi di dare sfogo a tutta la sua creatività e follia, con un produttore come Takenori Sento (Eri Eri rema sabakutani, Yurîka) di certo non si preoccupa di un eventuale rimprovero. Asano può mostrare la sua polivalenza nell'interpretare eccellentemente un ruolo che i fan dei suoi lavori commerciali potrebbero non apprezzare, o addirittura disprezzare. Meglio così. Lo fa coscientemente e coraggiosamente, divertendosi e dando prova del suo grande talento, senza ripensamenti.

Considerazioni finali

Molti critici si sono lanciati nelle proprie recensioni in un facile e quasi pilotato confronto con Tetsuo, il capolavoro assoluto cyberpunk di Shinya Tsukamoto di dieci anni prima. Attenzione però. Entrambi i film sono low budget, girati in bianco e nero, sotto i 60 minuti, hanno un regista giapponese che ha scritto anche la sceneggiatura e una colonna sonora punk industrial. Innegabile. Tuttavia, a parte questi elementi tutto sommato superficiali, i due film non hanno nulla in comune. Tetsuo è un film di denuncia sociale, una complessa opera simbolica studiata fino all'ultimo dettaglio, che ha richiesto un immenso lavoro di produzione, dove ogni scena, ogni taglio ha un secondo livello di astrazione e interpretazione. Un capolavoro che ha segnato un'epoca e un intero genere. Electric Dragon 80.000 V non ha nessuna di queste pretese, è la trasposizione cinematografica di un fumetto che era nelle teste di Ishii e Asano, vomitato elegantemente da un letto elettrificato, convulsioni spastiche nei sogni del regista. Alla fine ci chiediamo se tutto non fosse proprio un sogno, in cui noi siamo i supereroi mutanti che lanciano fulmini e che al nostro richiamo chitarre elettriche volano in mezzo alla città per ricaderci in mano, pronte per essere violentate.

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Electric Dragon 80.000 V

 




Overview

  • Titolo originale: ユリイカ (Yurîka)
  • Titolo alternativo: Eureka
  • Anno: 2000
  • Genere: drama
  • Regista: Shinji Aoyama
  • Cast: Kôji Yakusho, Aoi Miyazaki, Masaru Miyazaki, Yoichiro Saito, Sayuri Kokusho, Ken Mitsuishi, Gô Rijû, Yutaka Matsushige, Sansei Shiomi, Kimie Shingyoji, Eihi Shiina
  • Paese di produzione: Giappone, Francia
  • Set: Giappone
  • Lingua: Giapponese
  • Sottotitoli: AsianWorld
  • Durata: 217 min
  • Link: IMDb

Trama

Una tranquilla giornata può trasformarsi in un incubo, un viaggio in autobus può trasformarsi in una terribile prima di un teatro sanguinoso. Per il conducente Makoto Sawai (interpretato da Kôji Yakusho) e i fratelli Kozue e Naoki Tamura (interpretati rispettivamente da Aoi Miyazaki e Masaru Miyazaki) è l'inizio di un incubo, un viaggio lungo una vita; una rapida discesa negli abissi del rimorso, della paura, della pazzia, dell'odio, accompagnati solo da una flebile speranza legata alla vicinanza e alla condivisione dei propri sentimenti. Tutto ha inizio su un autobus maledetto, lo stesso mezzo che li riporterà lentamente in vita.

Trailer


Recensione

Sono molteplici gli aspetti di questo film che possono spaventare, la lunghezza che supera le tre ore e mezza, il bianco e nero - filtro seppia - della pellicola, la lentezza complessiva; un riassunto del film avrebbe probabilmente ottenuto un risultato simile, ma ci troviamo al cospetto del regista Shinji Aoyama, lo stesso che cinque anni più tardi ha diretto Eri Eri lema sabakutani, film dove viene ripresa l'indifferenza del regista verso le critiche riguardanti regia e contenuti. Probabilmente Eureka è stato concepito in questo modo, ogni immagine, ogni scena è uscita dalla mente del regista così come la si vede, senza ripensamenti legati ad ipotetiche critiche oggettive.
Superato l'iniziale scompenso visivo, si può iniziare ad apprezzare ogni singola briciola, dalla minuziosa descrizione dei protagonisti - carattere e stati d'animo - alle situazioni che Kozue, Naoki e Makoto vivono. Il regista e sceneggiatore ha scelto un viaggio come mezzo con il quale i protagonisti cercano di ritrovare se stessi; è allo stesso tempo un modo per abbandonare i ricordi lasciandoli scivolare lungo la strada e un modo per affrontare il trauma. Per Makoto il viaggio si trasforma in una sorta di riscatto, una conferma che il Makoto conducente è ancora vivo - è lui che aiuta entrambi i ragazzi. Premuroso il suo rapporto con la giovane Kozue, spettatrice degli eventi fino al momento in cui l'acqua dell'oceano ne pulirà le ferite, onesto e esemplare con Naoki il quale vive forse il trauma peggiore.

Tematiche

(Attenzione, questa sezione contiene spoiler)
Nel film i protagonisti vivono un trauma tipico - assistono alla realtà della morte - perdono le loro sicurezze, perdono la loro individualità. Makoto si ritiene personalmente responsabile, si addossa le colpe entrando in una depressione che lo porta via via ad abbandonare ogni cosa, un tipico comportamento sbagliato legato ai falsi ricordi - indotti dal trauma - che mascherano la realtà dei fatti. Per i due ragazzi le cose sono più complesse, non solo assistono in una fase delicata della loro vita - sono giovani e orfani - alla morte, ma ne sono oltre che partecipi anche superstiti. Kozue si chiude in se stessa e smette di comunicare, vede nell'isolamento una difesa, un tipico fenomeno di dissociazione transitoria. Per Naoki il trauma si risolve invece in una dissociazione cronica; vede allo stesso tempo la morte come un male e come una cura.
Il film si sofferma, oltre che sul trauma, anche sull'attaccamento reciproco tra i protagonisti. Questo attaccamento, inizialmente forzato dalle situazioni - Makoto non ha un posto dove vivere - diviene via via più forte tanto da risultare alla fine una copia perfetta dell'attaccamento familiare.

Considerazioni finali

Il mio consiglio è di guardare questo film in assoluta tranquillità, senza spezzarlo, il rischio infatti è quello di ricavarne solo qualche ora persa. Certe situazioni, come ho rimarcato nella recensione, potrebbero risultare noiose, lunghe e pesanti ma sono fondamentali per ottenere il risultato finale: un film drammatico nel vero senso del termine. Un ulteriore consiglio è di visionare prima qualche altro titolo del regista, come il più recente Sad Vacation o il già citato Eri Eri lema sabakutani.

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Yurîka

 


Overview

  • Titolo originale: ちゃの味 (Cha no aji)
  • Titolo alternativo: The taste of tea
  • Anno: 2004
  • Genere: comedy, drama
  • Regista: Katsuhito Ishii
  • Cast: Maya Banno, Takahiro Sato, Tadanobu Asano, Satomi Tezuka, Tatsuya Gashuin, Tomoko Nakajima, Ikki Todoroki, Tomokazu Miura, Anna Tsuchiya
  • Paese di produzione: Giappone
  • Set: Giappone
  • Lingua: Giapponese
  • Sottotitoli: AsianWorld
  • Durata: 143 min
  • Link: IMDb

Trama

Sei storie differenti che vedono protagonista una semplice famiglia Giapponese della prefettura di Tochigi (栃木県, Tochigi-ken), zona rurale a nord di Tokyo. Storie semplici, senza grandi pretese; la giovane Sachiko Haruno (interpretata da Maya Banno) si trova a fronteggiare una immaginaria se stessa in formato gigante, una presenza invisibile - ai suoi occhi - che la osserva continuamente. Hajime Haruno (interpretato da Takahiro Sato), tipico school boy, viene investito dal primo amore, una tipica cotta adolescenziale vissuta con ingenuità, dolcezza e una piccola dose di pazzia. Simil sorte, anche se proiettata nella realtà degli adulti, tocca a Ayano Haruno (interpretato da Tadanobu Asano) zio dei ragazzi che, seguendo un tipico stereotipo giapponese, fa da musa e maestro. I genitori dei ragazzi, la madre Yoshiko Haruno (interpretata da Satomi Tezuka) e il padre Nobuo Haruno (interpretato da Tomokazu Miura), portano in scena una coppia inusuale, lui psichiatra dedito al lavoro e alla famiglia, lei animatrice e sognatrice. A far da contorno il nonno Akira Todoroki (interpretato da Tatsuya Gashuin), ex mangaca professionista con il tipico carisma degli anziani giapponesi, dispensatore di consigli presente nella vita di tutti quanti.

Trailer


Recensione

Questo film racconta la vita spensierata di periferia, lontana dalla caoticità della città e della società nipponica, della famiglia Haruno. I piccoli problemi di ogni giorno, i sogni e i desideri - e le paure - sono impressi nella pellicola e trasmessi allo spettatore uniti ad un pizzico di follia; è così che lo strano racconto dello zio Ayano si tinge di mistero, che una serie di incontri fortuiti si intrecciano dando vita a strane situazioni o uno sconosciuto ballerino diventa compagno di cena. Ci si ritrova più volte incollati al televisore ad osservare con stupore, ed un pizzico di incredulità, le scelte compiute dagli sceneggiatori per questo film; un buon esempio lo trovate tra i video della playlist nella sezione Trailer di questa recensione.
Impeccabile come sempre Tadanobu Asano, ancora una volta sopra le righe, nonchè la piccola Maya Banno che tra pochi anni non mi meraviglierei venisse paragonata alla Aoi Miyazaki degli esordi - con Eureka.
Un film divertente, pazzo al punto giusto, che regala un paio d'ore di divertimento e spensieratezza.

Tematiche

Il titolo - il gusto del tè - è molto evocativo, un riassunto essenziale dell'intero film. Il tè in Giappone rappresenta la tradizione, più che una bevanda un culto essenziale nella vita di ogni giapponese; basti pensare alla cerimonia del tè, allo stesso tempo momento di incontro (茶会, Chakai) arte e, in alcuni casi, preghiera (Buddista). The taste of tea non può quindi che rievocare tranquillità, tradizione, amicizia e amore, esattamente ciò che una semplice tazza di tè è in grado di fare.
Semplici storie che fanno comprendere quanto sia bella e allo stesso tempo difficile la vita, non quella impossibile dei manga, non quella avventurosa dei Thriller cinematografici, ma quella comune, cioè la nostra vita.

Considerazioni finali

Ishii scrive e dirige una commedia sincera, con uno stile molto simile allo Shunji Iwai di Hana and Alice, tanto che in alcuni frangenti è impossibile distinguerli.
Un commento è doveroso sulla drammaticità espressa in questo film; nonostante nei temi trattati non sia nascosto un alto contenuto emozionale, The taste of tea è in grado di coinvolgere lo spettatore trasportandolo lentamente all'interno delle immagini ed offrendo emozioni che definirei candide - bianche, innocenti ed ingenue.

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Cha no aji

 



Overview

  • Titolo originale: 監督 ばんざい! (Kantoku banzai!)
  • Titolo alternativo: Glory to the Filmmaker!
  • Anno: 2007
  • Genere: comedy, drama, biography
  • Regista: Takeshi Kitano
  • Cast: Takeshi Kitano, Toru Emori, Kayoko Kishimoto, Anne Suzuki
  • Paese di produzione: Giappone
  • Set: Giappone
  • Lingua: Giapponese
  • Sottotitoli: Asian World
  • Durata: 104 min
  • Link: IMDb

Trama

Sala d'ospedale, il medico si appresta ad azionare la macchina per eseguire una tac al paziente, legato al lettino con espressione assente. Curioso notare che il paziente è un pupazzo, ovvero Takeshi Kitano versione pupazzo. Il regista nipponico ha avuto una brillante carriera nella vita, ma ormai sembra essere a corto di idee e non è altro che un pupazzo, nel quale si trasforma ogni qualvolta si trovi in una situazione di difficoltà. Rimasto senza idee alla fine della sua carriera Kitano decide di realizzare tutto ciò che gli passa per la testa, per quanto possa essere strampalato, senza sceneggiatura finita e un filo logico e senza peraltro, come prevedibile, portare a termina nulla. Si sviluppa così un blob postmoderno sulla linea della sua vita e dei suoi film, dai gangster di Hana-bi che gli hanno regalato il successo internazionale, alla superviolenza di Battle Royale ( バトル・ロワイアル, Batoru Rowaiaru) in cui ha recitato fino a ciò che non è mai riuscito a realizzare, come una storia strappalacrime o un film science fiction. Il racconto pseudo autobiografico di Kitano è inusuale, non segue una linea temporale precisa, più che altro è tematica, segue un flusso di pensieri, quasi come se fossimo catapultati nella dimensione onirica e confusa della mente di Takeshi, senza filtri né censure.

Trailer



Recensione

Kantoku banzai! (Glory to the film-maker) letteralmente "che il regista possa vivere dieci mila anni (lunga vita al regista)" è un'ode al regista, al suo ruolo e alla sua difficile professione nello sviluppo degli anni. L'omaggio non si riduce alla figura di Kitano in se, bensì si rivolge alla figura del regista in senso lato, a tutti coloro che lo hanno influenzato e che ha ammirato nella sua vita professionale. Si possono contare innumerevoli rimandi multiforme e multicolore ai grandi del passato, cinema Horror americano, epiche immagini alla Ninja scroll, Ozu, Wenders, fantasmi giapponesi e naturalmente se stesso: basti pensare a Zatoichi (座頭市), L'estate di Kukijiro e ai suoi assurdi programmi televisivi (quelli di Mai dire banzai!, per intenderci), il tutto in chiave squisitamente comica. Le parti più divertenti, e intendo davvero divertenti, quelle che gli hanno fatto valere gli applausi in sala durante la proiezione e la standing ovation al termine, sono le scene Chapliane sul tatami di una palestra di Karate e la splendida scena della metropolitana (non voglio rovinarvela, davvero troppo spassosa).

Tematiche

Impossibile non citare l'influenza trash, i culti orgiastici con falli giganti di gomma rossa al ritmo di riff heavy metal pesantissimi, gli effetti speciali "davvero speciali", quasi Ed-Woodiani, sempre voluti e esilaranti. Infatti il team di Kitano da sfoggio di grande abilità nel CG durante le prime scene science fiction, si capisce quindi che gli orribili tagli con operatori e stuntman visibili alla telecamera sono voluti e ben ricercati, sempre con un senso artistico e storico.

Considerazioni finali

Pazzo, non lineare, onirico, colorato e senza senso, almeno apparentemente, Kantoku banzai! non è solo un'accozzaglia di spezzoni tagliati e cuciti insieme, alla fine prende finalmente forma il senso dell'opera, guidata da un filo non così confusionario come si potesse pensare, il Gillianismo finale resta una chicca per i più accorti. Definito dal regista un "suicidio artistico" il film è piuttosto uno stupro artistico, visionario e sincero. Certo non la sua opera migliore, ma sicuramente un gesto apprezzabile, onesto, un regista che riconosce il suo periodo di crisi e lo mette a nudo, senza paura, uscendone più che dignitosamente.

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Kantoku Banzai!